Le mie vacanze non
sono state, tutto sommato, molto tanguere.
Cioè: ho ballato, sì, ma non in luoghi esotici (il fato mi ha messo i bastoni
tra le ruote) né con gente esotica. Ho ballato molto con i soliti, che danno
certezze, e mi sono concessa alcuni
lussi: rifiutare di ballare, e scegliere i miei ballerini.
Ho fatto un patto in
due punti con me stessa: primo punto, non
rifiuto nessun ballo, se non conosco il ballerino, a meno di non averlo
visto fare obbrobri davvero agghiaccianti in pista: può sempre rivelarsi una
sorpresa positiva. E – secondo punto – mi
concedo, ogni sera, almeno due o tre tande per guardare gli altri che ballano:
questo mi serve per vedere l’andamento della pista, e per individuare i
ballerini con cui mi piacerebbe condividere alcuni tanghi...
Per quanto riguarda il
primo punto, devo dire che è il più difficile. Il mio animo enormemente
misericordioso, che mi rende incapace di dinieghi e risposte secche, nonché il
sottile timore (che è quello di ogni tanguera)
di passare la serata a fare da tappezzeria, fanno sì che rispondere negativamente ad un invito a ballare sia davvero difficile.
Anche se l’invito è stato un grugnito e magari era pure indirizzato alla mia
vicina di sedia, che è riuscita invece a sottrarsi a questa schiavitù
psicologica tipicamente femminile, e a rispondere di no, e è stato perciò
riciclato a me. Ebbene, io posso dire, dopo lunghi allenamenti, di esserci
riuscita: finalmente il mio “No, grazie” ha un’intonazione un po’ più naturale
e riesco a sentirmi in colpa solo per una decina di secondi dopo averlo
pronunciato (e non per l’intera serata, come accadeva prima).
Cos’è successo?
Diciamo che alcune tandas disastrose hanno contribuito a
convincermi della necessità di fare una
selezione. Inoltre, se errare è umano, perseverare è da idioti: quindi
perché costringermi a ballare più e più volte con ballerini con i quali non c’è feeling, se pure loro
continuano a invitarmi? Infine, ho deciso che
è meglio stare seduta mezz’ora in più, piuttosto che passare i dieci
interminabili minuti della tanda a pregare che finisca presto quel
supplizio...
Anche perché, quei
minuti che passo seduta, li posso impiegare fruttuosamente osservando gli altri
che ballano, e quindi le scarpe delle donne (ovvio!), ma anche i loro adornos, e poi gli uomini...
Finalmente, dopo oltre
un anno di frequentazione abbastanza assidua delle milonghe, posso dire di saper riconoscere immediatamente un ottimo
ballerino. Uomo. Evviva!
Infatti – non so se
capita anche alle altre donne – l’unica cosa che riuscivo a vedere, all’inizio,
erano proprio le ballerine: innanzitutto perché sono più belle da vedere, più
appariscenti, e poi perché riuscivo a valutare solo loro, facendo paragoni con
quello che io conoscevo (ossia solo il ruolo femminile). Ora invece riesco a individuare i bravi ballerini dalla
loro postura, da come si muovono in pista, da come appoggiano i piedi, da come
si comportano con le loro compagne... e li scelgo. Li guardo, cerco di farmi
guardare... Molte volte, devo dire, la mirada funziona. Certo, magari a fine serata, quando rimangono solo gli irriducibili e tutti hanno ballato con tutte, e quindi non c’è
pericolo di fare torti alle amiche o alle conoscenti; a fine serata, quando perfino
gli uomini decidono che possono osare (piccola nota polemica, scusate) e
invitare una ballerina nuova, che chissà come balla, o magari l’hanno vista
ballare e non è un granché, ma tanto si
è a fine serata, e tutto è possibile. Perfino che una tanguera in erba come me balli con un super tanguero di tantissima esperienza e bravura, o magari con più
d’uno...
Perché sì, lo posso
dire con orgoglio: avrei un certo buon
gusto, nello scegliermi i compagni di tanda.