venerdì 6 agosto 2010

Gli esordi (2)

Il secondo anno di corso è partito male, tra sbuffi e mugugni. Non certo miei... Io ero elettrizzata, finalmente il mio ballerino cominciava a seguire un po’ la musica, finalmente cominciava ad avere un repertorio di figure un po’ più esteso, finalmente il suo abbraccio aveva acquisito consistenza... Lui invece era isterico, e continuavamo a litigare furiosamente: sulla lunghezza di ogni passo, su di quanti gradi bisognasse girare per uscire nel modo più comodo, sul numero massimo di ochos che gli era consentito farmi fare prima che mi girasse la testa... Tutto si riconduceva a numeri e equazioni, e pochissima poesia. Io però mi divertivo lo stesso, conscia che una volta finita la lezione anche le discussioni più incredibili si sarebbero esaurite naturalmente; lui invece era sempre più stressato.
La maestra era letteralmente entusiasta di lui. Il maestro stravedeva per me. Questo mi galvanizzava, e invece gettava il mio omino nello sconforto più totale (ossignore, una donna che non ero io gli faceva dei complimenti, che paura!). Io non vedevo l’ora di provare a ballare con altri, per imparare, vedere la differenza, crescere come tanguera; lui invece era terrorizzato, e si rifiutava categoricamente di ballare con le altre: solo con me, sempre con me, ballava esclusivamente per farmi contenta, e quindi non potevo pretendere di più.

Io credevo, ormai, che si fosse reso conto anche lui dei benefici derivanti dal corso: ci vedevamo un po’ più spesso, eravamo costretti a parlare e a confrontarci, litigavamo pure, ma sempre in modo costruttivo, perché lo scopo di imparare qualcosa era comune. In realtà no: per lui il sacrificio continuava ad essere enorme, e anzi, probabilmente era sempre più gravoso, man mano che il tempo passava. La prima volta che gli ho offerto l’occasione di smettere di ballare, lui l’ha presa al volo. E abbiamo smesso di seguire il corso... con la sua promessa di portarmi a ballare, di tanto in tanto.
L’abbiamo pure fatto, un paio di volte, ma a me veniva da piangere, perché mentre ballavo pensavo che quella poteva essere il mio ultimo tango...

Ero giovane e innamorata, e pure un po’ timida. Non contemplavo neppure l’ipotesi di andare in milonga senza il mio omino... e quindi ho deciso di non chiedergli più di andarci, e di smettere anche di ascoltare la musica: mi deprimeva troppo.
Ho eliminato il tango dalla mia vita, convinta che fosse comunque più importante mantenere la mia relazione... Per un po’ ha funzionato. Poi però la mia relazione si è esaurita da sola, e mi sono trovata single e con un sacco di tempo libero. Quindi, quale miglior modo del tango, per riempirlo?

venerdì 23 luglio 2010

Dolcezza e nostalgia

Ho frequentato per un periodo una certa milonga. Lì mi sono follemente innamorata di un abbraccio, di un modo di ballare... un uomo molto dolce, un po' riservato. Ho scambiato solamente due parole, con lui: non ne conosco che il nome. Ma non dimentico quelle emozioni, la sensazione di profondo ascolto e di attesa, di apertura, di dono all'altro di una parte di sé.
Poi la vita mi ha condotto in altre città, in altre milonghe... Ogni tanto, tornando, ho rivisto quell'uomo e ho ballato ancora con lui, ritrovandone la stessa dolcezza e la stessa riservatezza.

Talvolta ho cercato le caratteristiche di quei tanghi in altri tanghi, in altri uomini, però non ho più trovato un identico abbraccio, un'identica dolcezza. Ma ogni ballo è unico, come ogni uomo, come un amore. E guardare al passato non può fare che male: ci sono nuove pagine da scrivere.

Ogni tanto, però, ripenso a quell'uomo, di cui conosco solo il nome... e mi chiedo con nostalgia e tenerezza a chi stia donando i suoi abbracci.

giovedì 22 luglio 2010

Scarpe, fiori e sorrisi

Adoro prepararmi per una serata di tango. È diventata una ritualità, un piccolo momento che ritaglio per me stessa, quando torno a casa di corsa, magari dopo una intensa giornata di lavoro, con un mal di testa che mi sembra di impazzire...
Spesso comincio a "prepararmi" dalla mattina: come prima cosa, ballerine rasoterra. I tacchi sono vietati tutto il giorno, se la sera devo ballare, perché i miei piedi altrimenti si rifiutano di muoversi... Chi mi conosce bene lo sa, e sorride di un sorriso complice quando vede le mie scarpe a inizio giornata.

Tanti tanghi nell'ipod, per preparare il mio spirito durante i tragitti in autobus, e quando la sera rientro, che io abbia due minuti o due ore, sono tutti impiegati a preparare me stessa e la borsa: cena leggera (dalla quale sono banditi aglio e cipolla), doccia, trucco un po' più sofisticato rispetto al giorno, e eventuali cambi davanti allo specchio... I capelli, d'estate, li tengo rigorosamente raccolti: odio sentirli appiccicati alla schiena.
La borsa è fondamentale: io sono un'abitudinaria, per cui uso sempre la stessa, vecchia, enorme, di pelle nera... fuori il netbook, l'astuccio e gli occhiali "da vicino" che uso di giorno, per la notte servono cerotti (che non si sa mai), una bottiglietta d'acqua, un golfino se fa freddo al ritorno, e ovviamente le scarpe. Anche due paia, tanto per andare sul sicuro.

Questo momento diventa magico soprattutto quando vado a ballare con un'amica: allora i preparativi diventano un'occasione per stare insieme e giocare a farci belle.
Ci raccontiamo le nostre ultime storie, parliamo di uomini (ovvio!) e di tango, ridiamo, ci mettiamo lo smalto, proviamo milioni di vestiti prima di decidere con quale ci sentiamo bene, scegliamo i fiori da mettere tra i capelli, e le scarpe, le scarpe, che quelle comode sono meno belle, ma cavolo, con quelle dorate tacco 10 dopo un'ora si muore!

Poi usciamo, sempre di corsa perché siamo sempre in ritardo (e se sono sola ancora di più!), rischiamo di perderci se andiamo in macchina o di essere investite se andiamo a piedi, con le scarpe rasoterra ma i vestiti svolazzanti, e gli occhi e l'anima che sorridono.

sabato 17 luglio 2010

Angeli da tango (1) – Il Nonnino della Milonga

1. Il Nonnino della Milonga
grado di sicurezza **
grado di piacevolezza ****

Dicesi Nonnino della Milonga quell’esemplare di ballerino di tango la cui età è palesemente superiore a quella media – pur alta – dei ballerini maschi, e che per simpatia e conformazione fisica non può non ispirare tenerezza e affetto “nipotale”.
Ha i capelli bianchi, gli occhi buoni, un abbraccio che ti ricorda la tua infanzia. Ogni tanto profuma di biscotti e mele cotte alla cannella. Si veste da nonno, con pantaloni lunghi e camicie a quadretti sotto le quali si intravede la provvidenziale maglia della salute, ovviamente di lana, che la moglie lo costringe a mettere per evitare che prenda freddo in mezzo alle correnti d’aria.

Essendo in pensione da una vita, da circa vent’anni dedica metà del suo tempo ai nipoti, e l'altra metà al tango. Almeno due volte alla settimana parte dal paese con la sua Cinquecento (sempre la stessa, da dieci lustri almeno), con al fianco la consorte, che non balla, e che quindi non scende neppure, ma rimane in macchina tutta la sera a lavorare a maglia, stando attenta che non si avvicinino “i malintenzionati”. Il Nonnino invece entra in milonga alle 8 di sera (e del resto, lui cena alle 6 e mezza, per cui le 8 è già tardi): è il primo. Si siede e aspetta.
Quando i primi ballerini arrivano, un paio d’ore dopo, lui è sempre lì, immobile. La proprietaria della milonga gli si è già avvicinata un paio di volte, apostrofandolo simpaticamente: “E allora, signor Nonnino, tutto bene? L’orto? La sua signora? I nipoti?”. In realtà, non è solamente interessata alla sua vita, ma ha escogitato questo semplice espediente per controllare che sia ancora vivo (lo è) e reagisca a semplici stimoli esterni.

Il Nonnino della Milonga, oltre a dedicare almeno un paio di sere alla settimana ad andare in milonga, da tempo immemorabile ormai ogni inverno va a Buenos Aires, dove ha pure dei parenti emigrati all’inizio del XX secolo (così sfugge l’inverno italiano e si gode due estati all’anno). Lì ha perfezionato il suo stile, che però diventa di giorno in giorno più flebile e minimalista, per ovvi motivi anagrafici.
Quando torna dai suoi viaggi, nelle milonghe italiane si trova spaesato, e cerca invano di ricreare il clima delle milonghe argentine. Si guarda perciò intorno cercando mirade in risposta alle sue, ma solitamente rimane deluso. Quando però tu lo “miri” da un capo all’altro della sala, con un sorriso di incoraggiamento a 56 denti, il suo sguardo improvvisamente si illumina: la tua mirada sortisce un effetto migliore di un’operazione alla cataratta. Ti invita, titubante, col capo (è mai possibile che una ragazza così giovane possa essere interessata a ballare con lui?), e tu rispondi entusiasticamente. Allora lui si alza traballando, fa tutto il giro della pista, con educazione e rispetto di quelli che stanno già ballando, e si ferma davanti a te con un sorriso. Allora ti alzi e lo abbracci. E sa di biscotti e di cannella, e tu senti che sta davvero ballando per te e con te: non cerca di farsi notare, non gli interessano gli altri. Esisti solo tu, e tra le braccia di quest’uomo di altri tempi ti senti una principessa.
E non importa se i passi sono sempre gli stessi: ritorni alla base del tango, alla camminata, e ti concentri sulla musica, che lui conosce benissimo.

Non puoi allora fare a meno di pensare a quanto ne guadagnerebbero i tanghi con i ballerini giovani, se anche loro cercassero l’essenziale: la musica, la camminata e te, la donna.